qui vive
I believe in resurrection
A window is a privileged and unique point of observation. It’s a symbolic border between internal and external space, from where we notice the existence and the world. Through cracks, curtains, balconies, flashes that turned on and off, as on Tv set, i would like to transmit signs of natural vitality, showing various family private situations and different ways of living life.
To be able to approach and work on this majestic and monumental place, I have considered essential to intervene visually, to invite the viewer towards a different understanding of the place . Getting closer to the history of Vajont and the theme of this proposal, I revisited this “NO place” with the intention of bringing life again to it, so that life itself and nothing else could retake a central role in our present and future existence.
The object is to bring back that interrupted vitality , that missing part we’re all searching for, without trying to soften the story itself, but willing to restart again.
I wanted to confront myself with the Vajont tragedy and its massive dam in this way: architectonically mounting those private places that were swept away, erased by the greed and the superficiality of some people. I would like to make those lives shine again as victorious heroes, able to surpass the dam itself, its symbol of power and progress, and any other possible use.
The desired outcome is to give back freedom and dignity to those people the had their rights taken away, recreating in this way a new symbolic space were to remember them.
I dedicate this work to this people’ s faith, to the resurrection of life against death, with hope for all of those people that have to face the death of their beloved, with the hope for a new life beyond that door which represents death, where who is there now is maybe observing us from one of those tiny windows.
EXTRAS:
1. Possibility to decorate the window frames with flowerpots and green plants and vines, for the creation of vertical gardens to blend naturally with the environment.
2. Possibility to generate electricity independently through photovoltaic microsystem In direct or alternating current with small storage (5-8-12-15 Wp) or using microinverter, to reiterate the potential and feasibility of sources of alternative energy.
3. It is also possible a cost-effective solution, which eliminates any light source and lives only on natural reflection from the sky with mirror glass.
DIMENSION: Area of intervention variable (from 1000 to 7000 square meters). Different elements (from 3.0 x 3.0 meters to 0.3 x 0.3 meters).
MATERIALS: Cash in raw wood trim of fiberglass (glass wool, epoxy resin, dust microspheres), panes of glass or plexi-glass or polycarbonate with any film “mirror”, acrylic colors spray, wall sconce lights IP65-66 (Led, neon or incandescent), Electrical, Lighting controller for remote control software with light dedicated, decorative pots, satellite dishes, vents, chimneys and small canopies.
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qui vive
credo nella resurrezione
Ogni finestra, ogni assembramento urbano rappresenta un vissuto vero. La finestra in quanto tale è un punto di osservazione privilegiato, unico. è un simbolo di confine tra interno ed esterno, da dove si scorgono la vita e il mondo. Attraverso scorci, tende, fessure, bagliori di luci che si accendono e si spengono come dei televisori, voglio trasmettere i segni di una naturale vitalità, evidenziando differenti intimità domestiche e familiari. Fatte di tempi e modi di vivere diversi.
Nell’affrontare questo ambiente così imponente e monumentale, ho ritenuto essenziale intervenire visivamente, per esortare lo sguardo dell’osservatore verso una comprensione altra del luogo.
Elaborando così il dramma del Vajont e il tema del concorso, ho rivisitato questo non luogo cercando di far riaffiorare la vita, affinché essa possa riappropriarsi del suo ruolo come centro indiscusso della nostra attenzione verso il futuro.
Far riaffiorare quindi quella vitalità interrotta, quella parte che manca a tutti noi da allora, senza voler escludere nè tanto meno alleggerirne la storia, ma anzi potervisi riconoscere per poter ricominciare.
Ho voluto confrontarmi così con la catastrofe del Vajont e con questa sua imponente opera: incastonando architettonicamente quei luoghi privati che sono stati spazzati via, cancellati dall’avidità e dalla superficialità dei pochi, e farli riaffiorare come vittoriosi protagonisti, capaci di soppiantare la stessa essenza della diga, il suo simbolo progressista e ogni sua oramai perduta funzione. Vorrei poter ridare a quanti hanno visto cancellati i diritti alla vita dei propri cari, una libertà e una nuova dignità, mai ricevuta, ricreando così un nuovo spazio dove poterli simbolicamente ricordare e vivere. Per questo ho pensato di dedicare quest’opera alla fede di questo popolo, alla risurrezione della vita che vince la morte, come speranza nei confronti di tutte le persone che necessariamente si devono confrontare con la morte dei propri cari, con la speranza di una vita nuova aldilà di quella porta che è la morte, dove chi è là ora ci osserva chissà forse da una di quelle piccole finestre.
Extra:
1. Possibile predisposizione di vasi nelle cornici per contenimento di piante erboree o da fiore, per la creazione di giardini verticali e rampicanti.
2. Propongo di generare autonomamente energia attraverso micro sistemi fotovoltaici in corrente continua con accumulo (12-15-20 Wp) o utilizzando microinverter, per ribadire la potenzialità e la praticabilità delle fonti rinnovabili.
3. E’ possibile inoltre una soluzione economica, che elimina ogni fonte luminosa e vive solo di riflessione naturale dal cielo con vetri specchio.
Dimensioni: Area di intervento variabile (da 1000 a 7000 mq). Elementi architettonici variabili (dai 3,0 x 3,0 metri a 0,3 x 0,3 metri).
Materiali: Cassa in legno grezzo, rivestimento in vetroresina (lana di vetro, resina epossidrica, polvere microsfere), lastre di vetro o plexiglas o policarbonato con eventuale pellicola “specchio”, colori acrilici a spruzzo, applique per luci IP65-66 (Led, neon o incandescenza), impianto elettrico, centralina luci per controllo remoto con software dedicato, vasi decorativi, parabole satellitari, sfiati, canne fumarie e piccole tettoie.
Bellissimo progetto e idea Brother! Complimenti!
Speriamo fiduciosi che sia di gradimento anche alla giuria preposta!
Ottimo lavoro davvero! <3
Molto innovativa, ma soprattutto sarebbe molto suggestiva da vedere di notte. Però penso sia di difficile realizzazione, non dal lato tecnico e pratico, ma dal punto di vista etico e di di cosa rappresenta la diga, anche se in disuso, per la popolazione locale. Molto probabilmente ci sarebbe una rivolta. Con le tue finestre dal punto di vista puramente estetico (anche se c’è un ragionamento ponderato e con un senso) si cerca di abbellire la diga, ma essa è meglio se rimane grigia, cupa, senza sfarzi o colori. Quando la si osserva si rimane in silenzio, e in quel silenzio si può risentire i rumori di quella notte tragica. Questo è il mio modesto pensiero, è molto bella come idea sulla carta, ma irrealizzabile: si rovinerebbe l’atmosfera che circonda quel posto.
Grazie Daniele, apprezzo molto il tuo commento e ti ringrazio perchè così potrò spiegare meglio il progetto. Innanzi tutto quest’opera vuole volutamente risollevare la testa di fronte alla tragedia, innalzandone il ricordo “vivo” di quella notte. Non è mia intenzione assolutamente “abbellire” questo luogo, ma valorizzarne esteticamente tutto il suo complesso significato. Mi spiego: questo progetto di installazione è per me un istantanea, e come spero anche, l’ultimo ricordo di vita vissuta per migliaia di persone travolte dalla catastrofe. E’ come una foto scattata un’attimo prima che le abitazioni venissero distrutte, le persone risucchiate da una forza sovrumana, e le vite di molti strappate da quello che era il loro diritto naturale a vivere. Diviene così anche un segno della vita comune, quotidiana, di noi tutti dove ogni uomo, donna animale o pianta “domestica” si può ritrovare. Ho cercato così nella storia stessa del Vajont un linguaggio estetico che potesse essere comune, capace di leggere per chi guarda per la prima volta (penso ai bambini) diverse storie, mentre per chi ben la conosce, rileggere tra queste la propria e intima storia (come per Michela Coletti e pochi altri che quelle immagini le portano ancora impresse nei cuori). Poter proiettare e confluire diversi sguardi, diverse opinioni, tentando di creare un punto di incontro proprio tra motivazioni e visioni differenti è questo il tentativo. Lo sguardo “cupo” come dici giustamente tu del passato che deve restare tale e immobile (rappresentato nella staticità diurna dell’opera in cui nulla si muove e vive e dove il grigio cemento stesso diviene cornice delle finestre) e lo sguardo “vivificato” della sera, che riaccende la speranza e volge lo sguardo all’eterno presente del QUI VIVE. Perché qui vive il ricordo e la memoria storica, qui vive e permane la lotta contro ogni oppruso e abuso di potere e presunzione, qui vive un sentimento ferito su cui ci si deve avvicinare con rispetto e timore. QUI VIVE in francese e inglese è l’equivalente del “chi va là” militare e l’o scelto appositamente perché è anche la legittima reazione della popolazione nei confronti di ogni intervento venuto dall’esterno, istituzionale o privato che sia, compreso probabilmente questo concorso, un sentimento cui forse tu stesso fai riferimento. Proprio per ribadire questo pericolo e senso di frustrazione dei sopravvissuti, cito simbolicamente lo scempio delle lapidi avvenuto a Fortogna in occasione del rifacimento del cimitero monumentale della memoria http://www.sopravvissutivajont.it che ha in parte ispirato e rafforzato lo sviluppo di questo mio progetto. Del resto questo approccio era anche il tema specifico richiesto dal concorso di Dolomiti Contemporanee, cito: “per chi partecipa a questo pellegrinaggio silenzioso, la diga del vajont è una enorme lapide di cemento” e ancora “la convinzione basilare, che è alla base del concorso, è che questi luoghi (l’area del vajont) non debbano, per l’eternità, incarnare e rappresentare esclusivamente la storia di quel dramma, e che sia invece necessario, precisamente qui, decidere responsabilmente di dire qualche cos’altro, di portare, proprio qui, altre parole, ed immagini, di senso” (…) “quindi, fino a quando l’uomo avrà la forza di elaborare creativamente il significato dei fatti che costituiscono la propria storia, compresi i fatti terribili, questa storia continuerà ad essere da lui stesso generata, e nessun fatto, di nessun genere, potrà escluderlo da questo processo vitale, che gli appartiene, facendolo appunto uomo”. Nel bando si chiedeva di elaborare il senso di questa “LINE” e questo é stato il mio intento. Immaginandola come un’asta da superare dal atleta di salto in alto, come un confine da superare, una vetta o parete da scalare, un valico, necessario, difficile, doloroso ma pieno di liberazione, luogo che parla di un confine che pare invalicabile tra la morte e la vita. Alla sofferenza delle persone sopravvissute e poi a tutti, ho voluto dedicare questo progetto, accostando delle finestre di vita comune, e attraverso la speranza di rincontrarci un giorno, a una nuova vita. Perché anche di fede qui ho voluto riflettere, perché essa è stata per me come per molti unica fonte di vita e ancora di salvezza difronte alla morte dei propri cari e amici. LINE per me è anche questo, un confine tra il credere e il non credere, una lotta tra vita e morte e tra morte e vita in un continuo che è il tempo. Proprio per questo, per il livello di attenzione che merita questo luogo, vorremo impreziosirlo del vero valore che è la vita. E’ un omaggio sincero alle molte vite e persone toccate da ogni tragedia di morte passata, presente e ci auguriamo mai più futura. Grazie ancora Daniele e a tutti coloro che danno attenzione a quella forza incompresa che é l’arte oggi.
Progetto davvero interessante e coinvolgente. Un delicato connubio di cuore, sentimento, denuncia e arte. Bravo!! Niente retorica, una proposta di non facile realizzzione ma che da vita a chi, senza una ragione si è SPENTO quella notte.
Secondo me stai dando un messaggio assolutamente luminoso a quanti non vogliono riconoscere nella rinascita la giusta visione della tragedia avvenuta 52 anni fa. Fa bene sapere che non tutti hanno una visione così nichilista del futuro e che solo attraverso la speranza di un tempo migliore, anche alla luce delle brutture del passato, si potranno trovare soluzioni e nuove ispirazioni che ci consentiranno di diventare persone migliori e di non ripetere gli errori del passato. Complimenti Filippo.
Molto molto bello… Il progetto è molto meditato, si sente che hai pensato, in profondità, e che ogni elemento che utilizzi ha un suo preciso significato e contribuisce a trasmettere il messaggio centrale e portante del tuo lavoro. Quest’opera parla molto di te, di come sei, di quello che senti, di ciò in cui credi, di come sai elaborare e ri-creare significati, e questo mi ha colpito molto, complimenti! Mi ha colpito molto anche la delicatezza e la sensibilità con cui hai trattato il tema della tragedia avvenuta, e del dolore e del senso di ingiustizia ancora presenti in molte persone che hanno vissuto questo evento terribile… L’elemento della finestra è molto semplice, povero, quotidiano, “normale” (almeno questo è in senso che gli do io), e proprio per questa sua semplicità, è molto potente secondo me. Comunica in modo estremamente potente il senso di “casa”, di sicurezza, il senso di comunità viva anche, spazzato via dalla furia dell’acqua. ma che, come dici tu nel progetto, si può ricreare, può rivivere, e dai di questo processo di rinascita una rappresentazione visiva molto bella. Complimenti ancora!
Trovo molto bella l’idea che in qualche modo rivitalizza un luogo non di certo dimenticato ma purtroppo troppo abbandonato; un luogo che, nel bene e soprattutto nel male, fa parte della nostra storia, della nostra cultura e di cui dovremmo sempre aver cura.
Mi aggancio al concetto della finestra come punto di osservazione privilegiato, confine tra interno ed esterno, in senso spirituale tra l’essere interiore ed esteriore. Il ribadire un punto di unione e paradossalmente di separazione tra il mondo dei vivi (i sopravvissuti) e delle vittime “fisiche”, una finestra sulle emozioni vere, forti e dure, traendo da esse motivo è forza per un riscatto morale e materiale dell’uomo, un senso nel non senso della tragedia nel ribadire con forza nel “non luogo” la supremazia dell’uomo, in quanto individuo fisico e spirituale sul “non senso” delle sue azioni. Credo di poter affermare che in questo progetto ci sia tutto il tuo vissuto, sensibilità e fede ed in quanto tale una testimonianza tangibile del percorso di uomo.